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Pubblicato: Lunedì, 29 Maggio 2017 10:13
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Scritto da Andrea Manzini
Articolo precedente: Introduzione a XenServer
Nel precedente numero abbiamo introdotto l’hypervisor XenServer, dalle origini del progetto fino ad oggi, per poi descriverne anche la struttura e i principi di funzionamento. In questo nuovo articolo andiamo a vedere da vicino come installarlo ed iniziare a utilizzarlo. L’immagine ISO è disponibile a QUESTO indirizzo, dove è possibile anche accedere sia ai Software Development Kit, sia alle patch e alla documentazione.
Come per gli hypervisor concorrenti, l’installazione è consigliata su hardware supportato (HCL disponibile QUI), ma per uso di test è possibile installare Xen anche in configurazione whitebox su hardware non supportato ufficialmente: a questo proposito è bene prestare attenzione alla scelta di chipset e schede di rete (Intel IHC e NIC Realteck sono da preferirsi). Una volta preparati l’hardware e la ISO, si può creare un supporto USB avviabile (utilizzando utility gratuite come UnetBootin o Rufus) e iniziare l’installazione selezionando il boot da supporto USB.
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Pubblicato: Venerdì, 26 Maggio 2017 15:43
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Scritto da Lorenzo Bedin
In questo articolo ci concentreremo sui dispositivi mobili (smartphone e tablet), andando ad analizzare Cortado Corporate Server, un prodotto commerciale in grado di aiutare MSP e responsabili IT nel compito di gestire l’integrazione tra dispositivi personali e aziendali, sia nel caso di BYOD puro, sia nelle situazioni in cui sia l’azienda stessa a dotare dipendenti e collaboratori di device in dotazione.
Panoramica e Caratteristiche
Un software di questo tipo viene definito EMM ovvero Enterprise Mobility Management e dispone di alcune funzionalità principali: gestione centralizzata dei dispositivi mobili (MDM – Mobile Device Management), gestione delle applicazioni installate (MAM – Mobile Application Management) e gestione della sicurezza dei dati sia a bordo dei device, che durante la trasmissione. Oltre a queste tre famiglie principali, ci sono altre funzioni come l’accesso e la condivisione di file in modo sicuro e, nel caso di Cortado, il supporto alla stampa direttamente dal dispositivo.
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Pubblicato: Venerdì, 31 Marzo 2017 17:22
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Scritto da Lorenzo Bedin
In questo articolo abbiamo selezionato alcune delle nuove funzionalità presenti in Windows Server, per analizzarle da vicino e valutarne l’impatto nell’utilizzo sul campo.
Come visto nello scorso numero, la nuova release server del sistema operativo di Redmond si presenta più come un miglioramento delle precedenti versioni, piuttosto che come un sistema tutto nuovo. Le novità possono essere raggruppate in tre macro aree: Virtualizzazione/Container, Sicurezza e Storage.
Virtualizzazione
La principale novità in ambito Hyper-V è la possibilità di realizzare la virtualizzazione nidificata (nested virtualization). Con il nuovo Windows Server 2016 anche gli stessi host Hyper-V potranno essere virtualizzati: questo approccio è frequentemente applicato in ambienti di test, o in situazioni dove si voglia realizzare ambienti multi-host senza i relativi costi legati all’hardware fisico. Sempre in tema di macchine virtuali, è ora possibile effettuare l’aggiunta a caldo (hot-add) di hardware virtuale (dischi, schede di rete, controller etc.) su vm accese, operazione che ha sempre richiesto lo spegnimento e il riavvio per essere applicata.
Argomento già in parte trattato nello scorso articolo, con questa nuova versione del sistema operativo è possibile utilizzare il ruolo Host Guardian, che permette di regolare in modo granulare i livelli e permessi di accesso degli amministratori Hyper-V sulle macchine virtuali in funzione all’interno di un host o un cluster. Server 2016 fa inoltre un altro passo avanti nei confronti del mondo Linux: uno dei principali problemi con la creazione di VM Linux su Hyper-V era la mancanza di driver certificati per il Secure Boot in ambiente Windows. Questo portava a un errore di “Failed Secure Boot Verification” all’avvio della macchina virtuale, risolvibile solo con la disattivazione della funzione Secure Boot. Con la nuova release di Windows Server, questo problema è stato risolto.
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Pubblicato: Venerdì, 31 Marzo 2017 17:22
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Scritto da Andrea Manzini
Xen è un hypervisor, come VMware ESXi/Hypervisor, ovvero un software che permette di eseguire contemporaneamente più macchine virtuali – con sistemi operativi anche diversi – sullo stesso hardware, condividendone le risorse al fine di ottimizzare i costi e la gestione della infrastruttura IT. Data la sua natura è spesso paragonato alle piattaforme concorrenti di Microsoft (Hyper-V) e Vmware (vSphere/ESXi), tuttavia in questo articolo andremo ad analizzarne le peculiarità caratteristiche.
Un po' di storia
Il progetto di virtualizzazione Xen nasce a scopo di ricerca presso l’università di Cambridge nel 2003. A distanza di poco tempo viene fondata una azienda apposita, la XenSource, che viene successivamente acquistata nel 2007 da Citrix la quale mantiene la versione gratuita, ma inizia parallelamente a svilupparne una commerciale a pagamento. Allo sviluppo del progetto contribuiscono inoltre grandi player del settore del calibro di Intel, AMD, Cisco, Amazon, Google, Oracle, Samsung e Verizon.
Nel 2013 Xen viene accolto sotto l’egida della Linux Foundation e contestualmente Citrix adotta un modello totalmente opensource per il proprio prodotto XenServer, ormai giunto alla release 6.2. Viene comunque mantenuta una versione a pagamento che include servizi di supporto e manutenzione aggiuntivi.
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Pubblicato: Venerdì, 31 Marzo 2017 17:22
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Scritto da Lorenzo Bedin
CentreStack è un server gestito per la creazione di una piattaforma object storage che può essere implementato sia entro le mura sia in modalità Managed Service Provider per essere offerto come servizio a terzi.
Il prodotto dell’americana Gladinet si offre come sistema a metà tra i classici file server aziendali e le piattaforme di cloud storage off premises normalmente utilizzate in modalità SaaS/PaaS (come Dropbox, Onedrive ecc.) . Prendendo i vantaggi di entrambi i mondi, CentreStack può sfruttare l’infrastruttura IT interna all’azienda (server, storage etc) per offrire un servizio di condivisione file utilizzabile anche in modalità Cloud per utilizzi BYOD. La gestione è infatti completamente Web based, con una dashboard da cui è possibile controllare e intervenire su tutti gli aspetti della piattaforma, che può essere anche multi-tenant e multi nodo.
Struttura e requisiti
CentreStack è composto da tre entità principali, o nodi: il Web Front Node, il Worker Node e il Database Node. I nodi possono essere implementati come host fisici o macchine virtuali separate e autonome, oppure – per scenari di piccole dimensioni o ambienti di test – in modalità all-in-one su singolo host, dove tutti i componenti vengono concentrati in una singola installazione. In alcune situazioni di medie dimensioni, è anche possibile integrare Web Front e Worker node in una sola macchina.
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Pubblicato: Venerdì, 31 Marzo 2017 17:21
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Scritto da Guru Advisor
AKCP forte dell’esperienza guadagnata in più di 35 anni di attività, propone una vasta offerta di prodotti dedicati al monitoring: vediamo quali sono i più interessanti.
L’offerta di AKCP è composta da sensori, centraline e server software di gestione. La sua gamma di prodotti si rivolge sia ai datacenter, sia a qualsiasi spazio che debba essere monitorato in termini di sicurezza (telecamere, sensori fumo), controllo accessi (sensori di apertura porte e di presenza ), dati ambientali (temperatura, umidità, presenza acqua) e di potenza (sensori di tensione AC/DC, amperaggio, controllo relé).
Un sistema di monitoraggio AKCP è composto da una serie di sensori, da una centralina a cui vanno collegati tali sensori e dal software di gestione. I sensori si occupano di rilevare determinate condizioni (presenza d’acqua, temperatura, apertura porte, etc..) e di trasmettere le informazioni alla centralina per la successiva elaborazione. Se necessario possono anche azionare degli interruttori a relé. I sensori sono costituiti dal sensore vero e proprio e da un cavo che termina con una presa RJ-45 da collegare alla centralina; è possibile usare dei cavi di rete come prolunghe entro i limiti segnalati per ciascun sensore, dunque si possono sfruttare le strutture già esistenti come le canaline per i cavi di rete quando si installano questi dispositivi in edifici precablati o storici.
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Pubblicato: Giovedì, 29 Dicembre 2016 12:03
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Scritto da Lorenzo Bedin
Articoli precedenti -> Anche Microsoft crede nei Container - Windows Server TP4 2016 è ora disponibile
Dopo un periodo di sviluppo iniziato nel 2014, lo scorso Ottobre è stato finalmente rilasciata la versione definitiva di Windows Server 2016.
Windows Server 2016 è disponibile nelle edizioni Essential, Standard e Datacenter e sono molte le novità presenti in questa release, la maggior parte orientate alla sicurezza e alla scalabilità legata alle nuove architetture di tipo software-defined. La principale differenza rispetto al passato è il nuovo modello di licensing: Microsoft ha infatti deciso di passare a una gestione di tipo core-based (hyper-threading escluso), al posto del precedente approccio socket-based. Le nuove licenze saranno quindi calcolate in base al numero di core presenti sul server dove il sistema operativo verrà installato, al posto di esserlo in base al numero di processori fisici. Questa decisione nasce (al di là di questioni più o meno legate al marketing e ai margini di guadagno legati alle infrastutture scalabili) dalla volontà della casa di Redmond di allinearsi alle nuove necessità del mondo Cloud (e di chi, le infrastrutture cloud, le deve rivendere), dove il confine tra risorse fisiche e hardware è diventato ormai estremamente sottile. Un modello di licensing legato ai core e non più ai processori può, ad esempio, risultare estremamente utile nel quotare i piani di hosting, dove l’unità di riferimento per la potenza computazionale è proprio il singolo core e non l'intero processore.
In generale l’utilizzo di Windows Server 2016 richiederà di licenziare tutti i core fisici presenti nel server, con l’attivazione di un minimo di 8 licenze per-core (che coprono ognuna due core) per ogni processore (anche in caso di processori quad-core) e con un minimo di 16 licenze per-core per ogni server fisico (ipotizzando server dual-socket). Inoltre le licenze saranno vendute sempre in pacchetti da due core non frazionabili.
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Pubblicato: Lunedì, 23 Maggio 2016 17:52
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Scritto da Riccardo Gallazzi
La risoluzione rapida dei problemi è un'attività fondamentale per qualsiasi sistemista. Vediamo alcuni trucchi e suggerimenti per diventare più bravi e rapidi nel diagnosticare e risolvere i malfunzionamenti di un sistema Linux.
Nei precedenti numeri di GURU advisor abbiamo già dedicato un articolo ai comandi utili per il troubleshooting di base in ambiente Linux nel contesto della guida alle VPS, ma quando Top, PS e netstat non bastano più, bisogna rivolgersi a strumenti più avanzati. Il troubleshooting è una attività che può facilmente portare a sprechi di tempo e risorse, proporzionali alla difficoltà del problema che si sta cercando di risolvere. Per massimizzare il risultato e limitare tentativi e prove inutili è necessario agire seguendo procedure ben strutturate.
Il metodo USE – acronimo di Utilization, Saturation, Errors – è stato ideato da Brendan Gregg (autore tra gli altri di un libro sul tema: Systems Performance - Prentice Hall, 2013) e si basa su un’idea semplice quanto efficace: definire un workflow che determini il grado di utilizzo, saturazione ed eventuali errori presenti per ogni risorsa disponibile. In questo modo si restringe gradualmente il campo dei possibili fattori scatenanti, fino ad arrivare ad identificare in modo preciso la causa del calo di prestazioni del sistema.
La definizione delle risorse è piuttosto facile, si tratta infatti dei componenti fisici della macchina (possiamo applicare il metodo anche ai componenti software, ma diventerebbe molto complicato e dettagliato, forse anche troppo visto lo scenario), un server nel nostro caso, e ovviamente anche per la controparte virtuale. Processore, memoria, disco, controller, interfaccia di rete, bus, etc. Naturalmente una maggiore conoscenza della architettura porta a una maggiore velocità e precisione nell’identificazione del problema, seppur implicando una complessità e una curva di apprendimento non indifferente.
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Pubblicato: Giovedì, 14 Aprile 2016 18:01
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Scritto da Lorenzo Bedin e Riccardo Gallazzi
Nello scorso numero di dicembre 2015 abbiamo recensito in modo approfondito la versione 4.0 della piattaforma open source per la virtualizzazione sviluppata dalla società austriaca Proxmox Server Solutions. Analizziamo insieme le novità che Proxmox mette a disposizione per competere con i blasonati concorrenti Microsoft e VMware.
Proxmox VE vs. vSphere
Il confronto con l’hypervisor leader di mercato può sembrare impari, ma una analisi accurata delle funzionalità di Proxmox può farlo rivalutare come alternativa, in particolare nel caso di situazioni in cui il rapporto tra budget e prestazioni sia il principale parametro di scelta.
Proxmox VE (da qui in avanti semplicemente Proxmox) è basato sul sistema operativo Debian e porta con sé vantaggi e svantaggi di questa nota distribuzione Linux: un sistema operativo stabile, sicuro, diffuso e ben collaudato, con un’ampia scelta di pacchetti software – sebbene a volte non aggiornati all’ultima release ma in grado di garantire una perfetta stabilità – e il “Contratto Sociale” che assicura i vantaggi del Software Libero (https://www.debian.org/social_contract). Tra i vantaggi bisogna sicuramente citare anche la presenza di una community ben radicata e attiva nella gestione del codice e della documentazione, che risulta sempre essere ricca e dettagliata. In quanto progetto open-source, il repository del codice sorgente è a disposizione di chiunque voglia implementare nuove funzioni, o adattare quelle esistenti in base alle proprie esigenze. Inoltre la licenza GPL consente l’uso anche commerciale in modo del tutto gratuito.
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Pubblicato: Giovedì, 14 Aprile 2016 16:20
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Scritto da Lorenzo Bedin
Il ProLiant ML10v2 è un server tower che si posiziona alla base dell’offerta di HP Enterprise e offre (in base alle sue diverse configurazioni) un rapporto prezzo/caratteristiche molto vantaggioso. Uno dei possibili utilizzi per un prodotto di questo tipo è la realizzazione di un host virtuale con vSphere. Con meno di 500 euro ecco come allestire un piccolo laboratorio con cui provare vSphere senza rinunciare a buone prestazioni.
Hardware e dotazione
Questo server rientra nella tipologia a socket singolo in formato tower (con ingombro di 4U). È disponibile in diverse configurazioni hardware, che si differenziano principalmente per il processore con cui sono equipaggiate: Intel Core i3-4150, Pentium G3240, oppure Xeon nelle version1 E3-1220v3 o 1241v3 con 8 MB di cache di terzo livello L3. Il quantitativo di memoria RAM onboard è di 4 GB (upgradabile fino a 32), mentre la gestione dei dischi (è presente una unità da 1TB ma solo in alcune configurazioni) è affidata a un controller SmartArray B210i. Lato networking troviamo una scheda dual gigabit 332i (con chipset Broadcom Nextreme BCM5730). Da segnalare la presenza della iLO 4 (aggiornabile anche alla release Advanced), seppur senza porta di rete dedicata.
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